Napoli: rispettare la gioia

Leggo parecchi commenti di gente “indignata” per i festeggiamenti in corso a Napoli per la vittoria dello Scudetto. Tutti post che andrebbero letti con la erre moscia per trarne la vera natura: quella snob.

So che con questo post mi inimicherò qualche “dissidente”, ma l’avrete capito ormai che non mi interessa più suscitare applausi da questa parte d’Italia a cui piace chiudersi su se stessa.

Dunque, ecco cosa penso: non vedo nulla di male in una città che si lascia andare alla gioia per un traguardo sportivo. E trovo miope, molto miope, buttare tutto nel benaltrismo e lamentarsi dell’assenza di simili, oceaniche manifestazioni collettive a fronte di tematiche ben più serie.

Come si può riaccendere un popolo se non lo si rispetta, non lo si conosce e non lo si vive? Il calcio sta alla nostra società come i giochi gladiatori stavano a quella romana. Certo, si trattava di “panem et circenses”, ovvero un modo efficacissimo per distrarre la cittadinanza dai problemi di tutti i giorni e strapparne il sostegno. Tuttavia, studiare ciò che accadeva negli anfiteatri ci dice molto del mondo antico: di come pensasse la gente, di quali fossero le paure più diffuse o i desideri più reconditi, di come fossero intese la vita e la morte. Forse di più che leggere un Cicerone.

Possiamo tutti dolerci della mancanza di presa di coscienza collettiva e dell’ignoranza dilagante. Gli italiani escono da decenni di abbrutimento, come gran parte degli occidentali. Ma pensare che questa nostra sana rabbia vada messa in contrapposizione al tifo calcistico che, ripeto, è parte della cultura popolare italiana dagli inizi del secolo scorso, è sbagliato. E controproducente.

Quando l’Italia vinse l’Europeo io scesi in strada a festeggiare con i miei amici fino a notte fonda. Questo mi rende forse meno consapevole dei disastri attuali o meno attivo nell’affrontarli? Non so voi ma io non ho un cervello binario: riesco a fare e pensare più cose contemporaneamente.

Palmiro Togliatti disse a Pietro Secchia: “E tu pretendi di fare la rivoluzione senza sapere i risultati della Juventus?”. Possiamo noi, che amiamo dipingerci come “risvegliati”, disinteressarci di ciò che sa carpire la passione di milioni di persone? Unendo persino collettività cittadine e riuscendo a infondere speranza in cuori altrimenti avviliti?

Se vogliamo che le strade d’Italia vengano invase anche (e soprattutto) per motivi più vitali, dobbiamo restare con i piedi per terra e scavare a fondo nella mentalità di chi vogliamo innalzare, trovando le leve giuste su cui agire. È un lavoro difficile ma essenziale.

L’appartamento sull’attico della torre d’avorio può permetterselo chi difende lo status quo, non chi punta a sovvertirlo.

Matteo Brandi

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